di Giovanni Giacalone
Tredici marines morti come conseguenza della disastrosa uscita di scena statunitense dall’Afghanistan; un ritiro non ancora completato, indicato da Washington con una scadenza al 31 agosto, con tanto di minaccia talebana in caso che gli USA dovessero tardare anche solo di un giorno. Intanto però qualcuno ha pensato bene di far esplodere degli ordigni presso l’aeroporto di Kabul, uccidendo un centinaio di persone.
Uno degli aspetti più agghiaccianti di tutto ciò è il dover sentire il generale statunitense Kenneth McKenzie Jr. dire che “gli Stati Uniti continueranno a condividere informazioni di intelligence con i talebani per prevenire attacchi del genere”. Come se i tagliagole coranici siano improvvisamente diventati partner affidabili nella lotta al terrorismo islamista; come se a Washington non sapessero che la prima cosa fatta dai talebani durante la marcia sulla capitale è stata quella di liberare più di 9mila detenuti dalle prigioni di Bagram e Pul E-Charkhi, molti dei quali jihadisti di al-Qaeda e dell’Isis. Una casualità? Certamente no.
Attenzione poi al ruolo centrale della rete Haqqani, fazione del movimento talebano che ha ora il controllo di Kabul, come già illustrato dal “Wall Street Journal”. La rete Haqqani, attiva già negli anni ’80 nella lotta contro i sovietici, veniva inserita nella black list delle organizzazioni terroriste da Washington nel 2012. Le relazioni tra Haqqani e al-Qaeda possono essere tracciate fin dai tempi della nascita di quest’ultima. Ebbene, ora Washington vorrebbe collaborare con loro. Eppure il 27 agosto l’ex presidente dell’Afghanistan, Amrullah Saleh, ha dichiarato: “Ogni prova che abbiamo in mano mostra che le cellule IS-K (Stato Islamico del Khorasan) hanno le loro radici nella rete talebana e Haqqani, in particolare quelle che operano a Kabul”.
A questo punto non ha neanche senso interrogarsi sulla possibilità che l’Afghanistan torni ad essere un santuario del jihad globale, perché i fatti recenti sono più che eloquenti. Talebani, rete Haqqani, IS-K e al-Qaeda tutti presenti in territorio afghano; organizzazioni terroriste come Hamas e la Jihad Islamica Palestinese che si congratulano con i Talebani per aver “cacciato il nemico occidentale” e la Turchia di Erdogan che si dichiara pronta a collaborare con gli “studenti coranici”.
Occhio poi alla storia (che si ripete) perché, come illustrato dall’esperto di terrorismo islamista in Europa, Petter Nesser, i campi di addestramento qaedisti afghani di al-Farouq, Khalden e Derunta vennero frequentati da numerosi soggetti poi coinvolti nella pianificazione di attentati in Europa nei primi anni 2000, ma anche da numerosi terroristi del GIA e del GSPC che insanguinarono l’Algeria e la Francia negli anni ’90. Le cellule terroristiche attive in Europa nei primi anni 2000 hanno quasi sempre mantenuto contatti con l’Afghanistan, interagendo con al-Qaeda direttamente o tramite intermediari.
Dunque il tentato sdoganamento dei talebani da parte di Washington è forse più agghiacciante del disastroso ritiro in atto.
Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.
Sono d’accordo al 50%. Sicuro a priori del loro fallimento, ritenevo errato l’intervento russo rivelatosi catastrofico come quello americano. Non manifesto opinioni sul “ridicolo” coinvolgimento della NATO. Un nuovo possibile comportamento, che non esclude a priori collegamenti trasversali o diretti con i terroristi integralisti, è puramente opportunista. Il sottosuolo del paese è ricco di materie prime di cui la “globalizzazione” tecnologica necessita. A questo punto i nuovi padroni, che volenti o nolenti per presentarsi da attori sulla scena internazionale necessitano capitali, possono mostrarsi moderati agguantando due piccioni con una fava. Un altro fattore che viaggia sulla forza d’inerzia è la presenza di chi in Afganistan si è affacciato oltre i confini del proprio paese. Anche tra gli stessi talibani hanno messo radici visioni diverse. Riusciranno a soffocarle o verranno tollerate? Un ultimo aspetto è il ruolo dei paesi limitrofi. Come e fino a che punto s’introdurranno nel tessuto sociale talebano?