Il voto locale conferma la crisi di Biden
La tornata elettorale del 2 novembre segna una brusca battuta d’arresto per i sogni di gloria di Joe Biden.
È passato quasi un anno esatto da quando il democratico, coi suoi 81 milioni abbondanti di voti, ha vinto le contestatissime elezioni presidenziali che l’hanno portato alla Casa Bianca come il presidente più votato di sempre. Da diversi mesi il suo indice di popolarità è ai minimi termini, chiaro segnale di un’amministrazione che stenta a funzionare come dovrebbe (lo ha analizzato Stefano Graziosi nell’ultimo “Dossier del Machiavelli”). La disapprovazione per l’operato di Biden ha superato il 50% della popolazione – e questo secondo sondaggi che normalmente sovrastimano l’opinione pubblica democratica.
La prova delle urne certifica il crollo della popolarità dei democratici. Prima di andare ai risultati, tuttavia, una necessaria premessa: molti degli spogli sono ancora in corso e negli USA, a causa d’un utilizzo piuttosto “allegro” del voto postale, ci si ritrova nell’assurda situazione per cui l’avanzamento degli stessi è espresso come percentuale dei “voti attesi”. Vale a dire che i voti realmente espressi potrebbero rivelarsi sensibilmente di più. È esattamente quanto accadde nella notte e l’indomani delle elezioni presidenziali del 2020, quando gli spogli divennero uno stillicidio di carichi di voti postali che giungevano, inattesi, ai centri di spoglio, spesso determinando l’esito finale.
Scricchiolano le roccaforti blu di Virginia e New Jersey
La principale posta in palio di questa tornata erano due posti da governatore, in Virginia e New Jersey. Entrambi gli Stati erano retti da governatori democratici e considerati relativamente sicuri per i “blu” (colore che negli USA identifica il Partito Democratico). Delle elezioni svoltesi in questo secolo per scegliere il governatore, i democratici ne avevano vinte 4 su 5 in Virginia e 3 su 5 in New Jersey. Nel 2007 lo scarto a favore dei democratici era stato del 9% in Virginia e del 14% in New Jersey. L’anno scorso Biden aveva prevalso su Trump di 10 punti percentuali in Virginia e di 16 in New Jersey. Secondo i sondaggi in New Jersey non ci sarebbe stata partita; il candidato democratico era strafavorito anche in Virginia, almeno fino al termine dell’estate quando c’era stata un’inversione di tendenza.
In Virginia il risultato è ufficiale: il candidato repubblicano Glenn Youngkin, ex direttore del “Carlyle Group”, è il vincitore col 51% dei voti, contro il 49% dell’ex governatore Terry McAuliffe. In New Jersey lo spoglio non è ancora concluso, ma costituisce già una sorpresa il fatto che i due candidati siano testa a testa: il repubblicano Jack Ciattarelli si contende il posto col governatore uscente Phil Murphy per una manciata di voti. Il successo in Virginia è completato dall’elezione dei candidati repubblicani ai ruoli di tenente governatore e procuratore generale e dalla conquistata maggioranza “rossa” (repubblicana) nel Parlamento statale.
Gli altri risultati
Altri voti locali danno segnali scoraggianti per Biden e i democratici.
In Texas si è votato per il collegio 118 della Camera statale, dove nel 2020 il democratico Leo Pacheco aveva superato di 16 punti percentuali il repubblicano John Lujan. Si tratta di un collegio, nei sobborghi di San Antonio, in cui i bianchi sono meno di un quarto della popolazione e gli ispanici superano il 70%: il terreno ideale per costruire una roccaforte blu in uno Stato rosso, come il Texas, che i democratici sognano di tingere del proprio colore grazie alla massiccia immigrazione dall’America Latina. Sorprendentemente Lujan è riuscito a prendere il seggio per i repubblicani, lasciando intendere che il voto ispanico in Texas potrebbe essere meno garantito delle attese per i democratici. (Anche a livello nazionale, Trump era riuscito a spostare a destra fette importanti del voto latinoamericano).
Le elezioni a sindaco sono una storia a sé: le città sono altrettanti fortini del Partito Democratico, egemonizzati dall’alleanza “ricchi + minoranze” che costituisce la base sociale di tutta la Sinistra occidentale odierna. Non di meno, anche qui si è osservato qualche segnale che dovrebbe preoccupare i democratici.
A Buffalo le primarie democratiche erano state vinte da India Walton, esponente dichiaratamente socialista. Lo sconfitto, il quattro volte sindaco Byron Brown, ha contestato l’esito facendo campagna come write-in: il suo nome non era stampato sulla scheda, ma negli USA gli elettori possono scrivere a mano nomi non presenti nella lista dei candidati ufficiali. In questo modo (e clamorosamente) Brown è riuscito a battere la Walton, segnalando una certa distanza tra la base militante dei democratici e la cittadinanza. A New York il candidato democratico ha vinto facilmente contro l’oppositore repubblicano, ma è sintomatico che le primarie abbiano selezionato proprio Eric Adams, ex capitano della polizia che si oppone al movimento “Defund the police“. A Minneapolis, città dove è avvenuta la morte del pregiudicato George Floyd, i cittadini hanno riconfermato il sindaco Jacob Frey, che era stato cacciato da una manifestazione di “Black Lives Matter” perché contrario all’abolizione tout court della polizia. Chiamati ad esprimersi anche su quest’ultimo tema da un referendum, gli abitanti della principale città del Minnesota si sono opposti alla richiesta degli estremisti.
Le ragioni della sconfitta democratica
Molte motivazioni possono essere addotte per spiegare perché ci sia stato un tale rovescio politico per il Partito Democratico. Come spesso accade, l’economia fornisce un pezzo importante di spiegazione. L’attesa ripresa post-pandemia sta già segnando il passo negli USA, dove il PIL nel terzo quadrimestre è cresciuto solo del 2%. La popolazione sta subendo da tempo una carenza di beni sul mercato, in parte dovuto all’inflazione (logica conseguenza dell’aver stampato moneta mentre si smetteva di lavorare e produrre per paura della covid) e in parte a interruzioni sulla catena d’approvvigionamento (mentre il ministro delle Infrastrutture Pete Buttigieg se ne stava per due mesi in congedo di paternità, avendo assieme al compagno comprato un bambino con l’utero in affitto). Ad oggi l’Amministrazione non ha presentato nessun piano concreto per fare fronte all’emergenza, che sta lasciando vuoti molti scaffali di supermercato in America.
Le politiche ambientaliste dell’Amministrazione Biden non stanno aiutando. La Casa Bianca ha bloccato diversi progetti infrastrutturali energetici, in primis l’oleodotto “Keystone XL” che avrebbe dovuto portare il petrolio canadese nelle raffinerie americane. Nel frattempo, però, le risorse green per sostituire quelle fossili non ci sono: Washington sta così facendo ricorso a sussidi per abbassare i costi dell’esosa energia rinnovabile, aggravando la spinta inflazionistica.
Un altro fattore è la pandemia. La narrazione di Biden, spinta con furia dai media per tutto il 2020, puntava il dito contro Trump come solo responsabile d’ogni morto negli USA. Ciò gli ha certamente giovato alle urne il novembre dello scorso anno, quando molti vecchietti (o nipotini) hanno votato per lui convinti così di salvarsi la pelle. Il problema è sorto quando ci si è dovuti confrontare con l’aspettativa creata – ossia che bastasse portare Biden alla Casa Bianca perché il virus sparisse. Il risultato è che oggi i democratici spingono per leggi liberticide “all’italiana”, ma senza in tasca la facile e rapida soluzione che raccontavano di possedere. Scene come quella della mega-festa di compleanno di Obama, con orde di invitati vipponi rigorosamente senza mascherina in mezzo alla servitù costretta a stare a volto coperto, non hanno certo aiutato l’immagine dei democratici.
La battaglia sull’educazione dei figli
Eppure un altro fattore è stato importante quanto o più dell’economia e della pandemia: l’educazione scolastica. Gli americani ci tengono molto al modo in cui vengono istruiti i loro figli: del resto là garantire un’educazione completa e di livello costa caro – un investimento che non si vuole dilapidare per gli errori dello Stato. Spesso i figli vengono istruiti direttamente a casa: la pratica dello homeschooling riguarda il 3-4% dei fanciulli americani.
Di converso, sappiamo fin troppo bene come la Sinistra consideri la scuola un serbatoio di propaganda e indottrinamento: non a caso ne ha occupato militarmente i ranghi. In questo momento spinge principalmente sull’introduzione di due nuove linee di “insegnamento”: da un lato la pseudo-scientifica teoria gender, dall’altro la dottrina della “Critical Race Theory” (CRT). In soldoni, quest’ultima statuisce che il razzismo negli USA – e più in generale in Occidente – sia “sistemico”: tutte le nostre istituzioni politiche, sociali, economiche ecc. avrebbero un unico scopo, che è quello di far dominare i bianchi e opprimere i non bianchi. Teoria curiosa da sostenere in un Paese che da decenni pratica la affirmative action, ossia l’aperta e legale discriminazione dei bianchi nelle scuole, nelle università e sul lavoro; ma tant’è…
Con le famiglie già esasperate dalla chiusura a oltranza di molte scuole pubbliche, gli incontri pubblici degli school boards – comitati di gestione scolastica – sono divenuti terreno di battaglia culturale. Hanno fatto il giro del web gli interventi di genitori che contestavano duramente le scelte dei comitati in tema di mascherina obbligatoria e indottrinamento alla CRT per gli alunni.
La National School Board Association ha clamorosamente reagito a queste contestazioni scrivendo una lettera al Presidente Biden in cui paragonava i genitori dissidenti niente meno che a “terroristi interni”. Il Procuratore Generale Merrick Garland (che Obama avrebbe voluto portare alla Corte Suprema) ha colto la palla al balzo per mobilitare addirittura l’FBI contro le proteste dei genitori. Inutile dire che questa assurda escalation da parte dell’Amministrazione Biden ha gettato benzina sul fuoco della rabbia popolare.
Uno degli epicentri di questa battaglia culturale è stata proprio Loudoun County in Virginia. Qui il 22 giugno l’idraulico quarantottenne Scott Smith veniva allontanato con la forza dalla polizia da un incontro pubblico del locale school board (una componente del quale, Beth Barts, è indagata per una newsletter in cui coordinava i propri accoliti per intimidire i genitori dissidenti).
La Sinistra sperava di poter usare la vicenda come prova del fatto che certi genitori fossero fuori controllo, ma i media hanno riportato le ragioni della rabbia di Scott Smith: sua figlia era stata aggredita sessualmente nei bagni della scuola da uno studente maschio. I bagni erano quelli femminili, ma il molestatore (su cui pende anche un’altra denuncia) si auto-identificava come donna e vestiva una gonna, motivo per cui – secondo la politica genderista dell’istituzione scolastica – poteva frequentare quei locali. Smith accusava i membri dello school board, spalleggiati da genitori “progressisti”, di aver ignorato o attivamente insabbiato l’aggressione per motivi ideologici. Loudoun County è stata eletta a terreno di battaglia principale. Matt Walsh, commentatore di destra con un certo seguito negli USA, è arrivato al punto d’affittare una casa nella contea pur di prendere la parola allo school board e denunciare l’ideologia dei suoi amministratori.
I sondaggi confermano che, subito dopo l’economia, l’educazione dei fanciulli ha costituito il tema più importante per gli elettori. Il candidato repubblicano non è stato timido, non ha cercato di fare il “moderato” a tutti i costi, non ha nicchiato sui temi “morali” per compiacere i custodi del pensiero unico: è invece sceso nell’agone della battaglia culturale, dipingendosi come il campione dei genitori preoccupati per i propri figli e promettendo di proibire l’indottrinamento della CRT nelle scuole. Durante un confronto televisivo, il democratico McAuliffe ha palesato tutta la propria ideologizzazione affermando che “i genitori non devono dire alle scuole cosa insegnare”. Youngkin si è appellato al senso comune dell’americano medio, che non ama lo Stato onnipotente e prevaricatore, rivendicando “il diritto fondamentale a essere coinvolti nell’educazione dei nostri figli”.
Gli americani col loro voto hanno risposto molto chiaramente alla crociata ideologica di Biden e dei democratici.
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
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