di Giovanni Giacalone

Lo scorso ottobre un giovane videoamatore cinese che si fa chiamare “Guanguan” aveva pubblicato un filmato, di una ventina di minuti, diventato subito virale. In esso documentava i campi di concentramento nello Xinjiang, nei quali il regime comunista cinese rinchiude i musulmani uiguri ed altre minoranze etniche appartenenti alle genti turche per sottoporli a un lavaggio del cervello volto a cancellare identità, religione e cultura per sostituirli con l’ideologia del Partito Comunista Cinese. Guanguan era riuscito in un’impresa rischiosissima ed estremamente difficile: entrare nella Provincia Occidentale Autonoma dello Xinjiang e filmare dall’esterno tali strutture. Il caso era stato commentato a novembre dal Centro Studi Machiavelli. Il regime comunista cinese aveva ovviamente bollato il tutto come “fake news”.

Stavolta a mettere ulteriormente in imbarazzo Pechino sono decine di migliaia di files ottenuti da un hacker che li ha prelevati dai sistemi informatici della polizia dello Xinjiang, ribattezzati “Xinjiang files”. In essi vengono mostrate immagini di prigionieri (molte delle quali segnaletiche), dell’interno delle strutture detentive, operazioni della polizia carceraria e documenti. Il tutto può essere consultato sull’apposito sito “xinjiangpolicefiles“.

La cache di files è stata analizzata ed autenticata dal Dr. Adrian Zenz, Senior Fellow e Direttore degli studi sulla Cina presso il Victims of Communism Memorial Foundation, in due articoli accademici sottoposti a revisione paritaria pubblicati sul “Journal of the European Association for Chinese Studies” e su “Chinafile“.

I governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania hanno duramente condannato Pechino e chiesto azioni immediate. Curioso silenzio invece per ora da parte di Roma. Anche in questo caso il regime cinese ha negato tutto, definendo i documenti una “accozzaglia di materiale messo assieme da forze anti-cinesi” ed accusando i media di diffondere menzogne.

Secondo le stime di diverse associazioni per i diritti umani, sarebbero oltre un milione gli uiguri arbitrariamente detenuti nei campi di rieducazione dello Xinjiang, mentre per Randall Schriver, assistente segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza dell’Indo-Pacifico sotto l’Amministrazione Trump, il numero potrebbe raggiungere addirittura i 3 milioni su una popolazione di circa 10 milioni.

Una situazione drammatica dunque quella degli uiguri, vittime, come del resto la stessa popolazione cinese, di un regime “maestro” della repressione nei confronti dei propri cittadini. È oramai evidente non soltanto con ciò che avviene nello Xinjiang, ma anche con la cosiddetta strategia “Zero Covid”, totalmente inutile dal punto di vista sanitario, con la quale ancora una volta emerge la predilezione di Pechino per le strutture detentive (in questo caso di stampo sanitario), la prevaricazione dei cittadini e la negazione delle libertà fondamentali e dei diritti umani.

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La Cina è oggi un triste esempio di modello altamente repressivo. Nonostante ciò sono molti in Occidente a non voler prendere posizione, privilegiando i rapporti economici con Pechino. Pensare poi che, in Italia, c’è persino chi ha elogiato il modello cinese, da certi cosiddetti “virologi” che vorrebbero addirittura copiarlo ad esponenti della politica.

Vi è poi l’imbarazzo relativo a quei Paesi musulmani che si guardano bene dal prendere le difese dei musulmani uiguri e, anzi, fanno accordi con Pechino anche in ambito sicurezza, come ad esempio il Pakistan e l’Afghanistan talebano.

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Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.